Panoramica generale dell’istituto

Il reato di diffamazione è contemplato dall’art. 595 c.p., il quale punisce ˂˂ chi,
comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione ˃˃ con la reclusione fino a 1
anno o con la multa fino a 1032 euro.
I commi successivi stabiliscono l’aggravamento della pena in una serie di ipotesi:

  1. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato: reclusione fino a 2
    anni o multa fino a 2065 euro;
  2. Se l’offesa è recata col mezzo della stampa, con qualsiasi altro mezzo di pubblicità,
    ovvero con atto pubblico: reclusione da 6 mesi a 3 anni o multa fino a 516 euro;
  3. Se l’offesa è diretta ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una
    sua rappresentanza, ovvero ad un’Autorità costituita in collegio: tutte le pene
    precedenti sono aumentate.

Gli elementi essenziali del reato


La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 25026/2024, ha chiarito che non è sufficiente
l’astratta riconducibilità della condotta posta in essere alla fattispecie legale, essendo
necessaria la concreta offensività della stessa, ossia la sua idoneità a ledere in modo
concreto la persona offesa.

Inoltre, affinché sia integrato il reato di diffamazione occorre che:

a) La condotta posta in essere sia lesiva dell’onore, della reputazione o dell’immagine
altrui.

Più di preciso, per ‹‹ reputazione ›› si intende la stima che le persone hanno
della sfera morale di un soggetto, nell’ambiente in cui esso vive: la legge, quindi,
intende tutelare tale stima quale interesse del soggetto alla sua conservazione e al suo
rispetto da parte di tutti gli altri consociati;

b) La comunicazione dell’offesa sia tale da raggiungere molteplici persone (almeno
due, escluso l’agente e la persona offesa);

c) Il soggetto passivo sia assente, ossia impossibilitato a percepire l’offesa di persona.

Sotto il profilo dell’elemento soggettivo, è richiesta la sussistenza del dolo generico in capo
al soggetto agente, inteso come coscienza e volontà di recare offesa al soggetto e di
comunicare tale offesa a più persone.
NON si configura il reato di diffamazione nell’ipotesi in cui la condotta sia posta in essere
esercitando i diritti di cronaca, critica e satira, sempre che l’esercizio di questi ultimi
rispetti i limiti della verità, della continenza e della pertinenza.
Allo stesso modo, NON può discorrersi di diffamazione laddove l’offesa sia rivolta
direttamente al soggetto destinatario, senza il coinvolgimento di terzi (trattandosi, in tal
caso, di ingiuria, depenalizzata nel 2016).

La diffamazione a mezzo social media

Data la capacità dei social media di raggiungere un elevato numero di persone in un breve
lasso temporale, non sorprende che il legislatore abbia deciso di ricomprendere la
perpetrazione di condotte offensive online nell’ipotesi di diffamazione aggravata.

Inoltre, la Cassazione ha chiarito che la pubblicazione di contenuti offensivi sul proprio profilo integra
il dolo richiesto dall’art. 595 c.p., rendendo irrilevante, in sede penale, che,
concretamente, il contenuto sia stato visto o letto da una sola persona (Cass. Pen., Sez. I, 22
gennaio 2024, sentenza n. 16712).

Più di preciso, i comportamenti punibili racchiudono:
a) Commenti contenenti insulti, accuse infondate e contenuti offensivi;
b) Post e articoli denigratori verso una determinata persona o impresa;
c) Pubblicazioni di fake news idonee a danneggiare l’immagine o la reputazione altrui;
d) Diffusione di messaggi privati.

Procedibilità

Per l’attivazione di un procedimento legale è necessario presentare una querela entro 3 mesi
dall’evento diffamatorio, formalizzandola con le prove raccolte (screenshot, URL dei
contenuti offensivi, copie dei messaggi ricevuti o registrazioni delle conversazioni).
È altresì possibile attivare un procedimento civile al fine di ottenere un risarcimento che
copra i danni d’immagine, i danni morali e i danni materiali, dato che il comportamento
costituisce un fatto illecito lesivo di un diritto della personalità.

In particolare, la terza sezione della Cassazione Civile, nella sentenza n. 1092/2021, ha chiarito che ai fini della
determinazione del risarcimento è necessario tener conto della gravità dell’offesa e
dell’ampiezza della diffusione del messaggio diffamatorio.

Sia in sede penale, sia in sede civile il giudice ha la facoltà di ordinare la rimozione del
contenuto offensivo e la pubblicazione della sentenza di condanna a spese del responsabile
su testate giornalistiche o su siti web, per arginare i danni all’immagine e alla reputazione
della vittima.

Cenni giurisprudenziali

Risulta doveroso precisare che, in forza di un orientamento consolidato in giurisprudenza, il
reato di diffamazione a mezzo social sussiste anche nell’ipotesi in cui il nome della persona
offesa non sia riportato nel commento/post/pubblicazione, laddove siano scritte espressioni
offensive riferite a soggetti individuabili, sia pure da parte di un numero limitato di
persone, attraverso gli elementi della fattispecie concreta, quali la natura e la portata
dell’offesa, le circostanze narrate, oggettive e soggettive, i riferimenti personali e temporali
(in proposito, tra le tante, Cass. Pen., sentenza n. 14345/2024; Cass. Pen., sentenza n.
3809/2017; Cass. Pen., sentenza n. 18249/2008).

Dottoressa Fabiana Petillo

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